“L’Arte del negoziato” – Parte 2: I dieci motivi per leggerlo

Facebook LinkedIn Quando penso a questo volume, mi viene in mente il 1994, quando Mario Quinto mi parlò per la prima volta di Getting to yes, durante le lezioni sulla Contrattualistica internazionale nel 30° COR.C.E. “De Franceschi” dell’Istituto del Commercio Estero (ICE). [Leggi la parte 1] Da allora, e’ diventato uno dei libri che è entrato di […]

Stefano Cera

Agosto 25, 2018

Quando penso a questo volume, mi viene in mente il 1994, quando Mario Quinto mi parlò per la prima volta di Getting to yes, durante le lezioni sulla Contrattualistica internazionale nel 30° COR.C.E. “De Franceschi” dell’Istituto del Commercio Estero (ICE).

[Leggi la parte 1]

Da allora, e’ diventato uno dei libri che è entrato di diritto nella lista dei miei dieci preferiti. E che ha aperto la via della mia personale ricerca nel campo della gestione delle controversie. Ora, a quasi 25 anni di distanza e dopo molte (ri)letture, trovare “solo” dieci motivi per cui suggerirne la lettura non è un’impresa semplice. Infatti, ritengo che quasi ogni pagina abbia uno spunto di riflessione, una citazione o qualcosa di pronto utilizzo per i negoziatori di tutto il mondo. Tuttavia, tenendo fede all’impegno di proporre nel mio sito una presentazione di libri o di film attraverso “dieci motivi” per leggerli o guardarli, mi limiterò a parlare delle cose che ritengo maggiormente significative.

1) E’ la porta di ingresso nel mondo della negoziazione

In aula dico sempre che lo studio e la ricerca in questo campo non può non partire dalla lettura di questo volume. E mi stupisce constatare, durante i corsi di aggiornamento per i mediatori civili e commerciali, che c’è ancora qualche mediatore che non lo conosce (anzi, in qualche caso, non sa nemmeno chi siano Roger Fisher e William Ury).

L’Arte del negoziato è un volume tanto semplice da leggere (anche nella versione originale, in lingua inglese), molto coinvolgente (con uno stile degno dei migliori romanzi) e pieno di aneddoti tratti dall’esperienza diretta ed indiretta degli autori. Rappresenta l’ideale “cornice di riferimento” entro cui iniziare ogni approfondimento sulla gestione delle controversie, che riguardi le relazioni interpersonali, i conflitti internazionali o le trattative commerciali. Ha un’impostazione tale per cui non ha senso cercare di capire il “processo” attraverso cui si determina una trattativa (questa parte è descritta al massimo in una pagina).

Ed in sintesi, il punto di partenza per la comprensione di ogni trattativa, è semplice: cosa ha reso possibile in questo negoziato l’accordo? La risposta a questa domanda fa emergere degli spunti che rappresentano delle “buone pratiche” per i negoziatori di tutto il mondo.

2) Il metodo del negoziato integrativo

Tuttavia, L’Arte del negoziato, non è solo un insieme di “buone pratiche. Infatti, già nell’introduzione, gli autori presentano il loro metodo, diventato poi un vero e proprio cult: il “negoziato di principi”, detto anche “integrativo”. Scrivono gli autori che le persone in genere hanno due modi diversi di gestire le trattative: morbido e duro. Il primo, cerca di evitare il confronto e mira a fare concessioni per raggiungere un risultato. Con il rischio di non ottenere una contropartita soddisfacente. Il secondo, invece, vede ogni trattativa come uno scontro di volontà nella quale prevale chi ha un approccio maggiormente aggressivo. “Chi mena pe’ primo, mena du’ vorte…”, potremmo dire, usando un proverbio romano. Ma così facendo, come minimo i rapporti con l’interlocutore ne escono fortemente deteriorati.

Per superare lo scoglio della differenza (anche abissale) di stili, Fisher ed Ury osservano che è possibile integrare i benefici di entrambi i metodi. Per essere assertivi e diretti vero il cuore del problema esistente, nel rispetto tuttavia dell’interlocutore ed alla ricerca degli interessi in comune tra la parti. In questo senso il negoziato è “integrativo” perchè parte dall’integrazione degli interessi delle parti e basato sui “principi”, perchè si fonda su criteri di equità indipendenti dalla volontà delle parti.

3) I quattro principi di Harvard

Una volta “sintetizzato” (quasi fosse una reazione chimica) il metodo, ecco che emergono i quattro “pilastri” su cui esso si basa. I “quattro principi” per antonomasia della visione collaborativa della negoziazione:

  1. Scindete le persone dal problema.
  2. Concentratevi sugli interessi, non sulle posizioni.
  3. Inventate soluzioni vantaggiose per entrambi.
  4. Insistere su criteri oggettivi.

Ciascuno di questi meriterebbe, ovviamente, un approfondimento. Tuttavia, in questo articolo, mi limito ad osservare che la prima coppia di principi descrive i presupposti della gestione delle trattative (la preparazione al negoziato), mentre la seconda coppia rappresenta l’approccio operativo (cosa fare durante la negoziazione). Altro elemento significativo è l’importanza dei quattro principi di Harvard nella “storia” della ricerca sulla negoziazione. Infatti, a partire dal momento in cui essi hanno visto la luce, la preparazione teorica di ogni negoziatore è cambiata radicalmente perchè è cambiata la focalizzazione sulla ricerca dell’accordo. Dalla distribuzione tra le parti delle ricorso in gioco alla ricerca comune delle risorse che permettano benefici comuni.

4) Non deducete le loro intenzioni dalle vostre paure

Buone pratiche, abbiamo detto, ma anche importanti pilastri teorici. Ed in più, il volume contiene anche suggerimenti che apparentemente sembrerebbero di secondaria importanza, ma che invece riflettono grandi insegnamenti e spunti davvero utili per i negoziatori.  Come ad es. l’aneddoto del New York Times riportato nel volume che penso sia molto efficace.

“Si incontrarono in un bar, dove lui le offrì di accompagnarla a casa. La condusse per strade a lei conosciute dicendo che così abbreviava il percorso”.  Ora, come andrà a finire secondo voi? Questo è ciò che chiedo sempre in aula, quando propongo questo aneddoto e faccio un giro di tavolo per le risposte. Solo alla fine leggo la parte finale: “La portò a casa così in fretta che lei fece in tempo a sentire il telegiornale delle 22:00”.

Ecco spiegato in breve il meccanismo dei “film”. Sarà che io sono un appassionato di cinema, sarà che sono diffidente per natura, sarà chissà cosa. Tuttavia, sento molto vicino a me questo “rischio”: valutare negativamente qualcosa o qualcuno non tanto per quello che vedo o sento, quanto per quello che sono i miei timori legati all’idea che mi sono fatto, che mi fanno “percepire” quello che vedo e sento in modo non oggettivo. Perciò, il titolo di questo paragrafo e l’aneddoto che vi ho proposto li tengo sempre lì, in evidenza. Per ricordarmi di rimanere sul piano dell’oggettività. Ma anche, sforzarmi di vedere le cose sempre da una prospettiva diversa. Ed infine, mettere fuori da me (per quanto possibile) la parte più legata all’emozione (cioè l’interpretazione di ciò che mi sta accadendo), in favore della parte maggiormente legata ai fatti, alla realtà, a ciò che sta effettivamente avvenendo.

5) Il Ju-jitsu negoziale

Non sono un esperto di arti marziali ed ammetto che questa cosa è una di quelle che mi ha maggiormente colpito durante la lettura del libro perchè andava maggiormente in “contro-tendenza” rispetto a quello che è un “sentire comune”. Infatti, quando la controparte prende una posizione dura, netta, la nostra reazione è probabile che sia quella di rispondere nello stesso modo, muro contro muro, difendendo la nostra posizione e contrattaccando. Secondo un meccanismo di “azione-reazione”.

Ma questo, spesso, non funziona perchè provoca solo un innalzamento nella soglia dell’escalation. Pertanto, la risposta più efficace è la prevenzione di questo “circolo vizioso”. Ciò significa che quando gli altri ribadiscono la loro posizione, è opportuno non confutarla, quando attaccano le nostre idee è opportuno non chiudersi a riccio per difenderle. E questo è possibile farlo proprio facendo ricorso alle arti marziali, in particolare al ju-jitsu, che vuole che di fronte ad un attacco non si opponga la nostra forza, ma lo si schivi, convergendo l’energia verso la soluzione del problema.

Ciò significa trattare la “posizione” come una delle opzioni possibili e focalizzando l’attenzione sugli interessi che portano all’affermazione di questa posizione. Facendo sempre domande, il solo strumento per aprire il campo delle informazioni e delle opzioni. Inoltre, secondo Fisher e Ury, è opportuno stimolare suggerimenti e consigli da parte di chi sta criticando le nostre idee. Per essere pronti al confronto perchè da questo si ha l’opportunità di avere nuove informazioni, le sole in grado di aprire lo scenario dietro una posizione, un’affermazione, un’argomentazione.

6) Lo schema circolare: un metodo per stimolare la creatività

Nel volume non mancano riferimenti alla creatività e ad alcune sue tecniche per rendere efficace il negoziato stesso. Tra queste, una menzione particolare ed assolutamente originale va al c.d. “Schema circolare”.

Secondo cui, per sviluppare opzioni, è utile ragionare secondo quattro diversi tipi di pensiero:

  1. Definire un problema. Rispetto al quale possiamo porci alcune domande, come ad es. cosa non va? Quali sono i suoi sintomi, quali sono i fatti in contrasto con una situazione preferibile?
  2. Analizzarlo. Ad es. classificare i sintomi secondo categorie, ipotizzare cause del problema, eventuali lacune, annotare ciò che ostacola la soluzione.
  3. Definire l’approccio per trovare delle soluzioni. Ciò comporta identificare possibili strategie, suggerire rimedi per il problema, ecc.
  4. Infine, elaborare idee “operative”. Defininendo passi specifici per risolvere il problema.

Il vantaggio dello schema è che si può passare dalla situazione particolare (la specifica situazione) al piano generale (la teoria) e viceversa, in un continuo richiamo ai due piani che, al tempo stesso, permette di lavorare, integrandole, il piano della tattica e quello della strategia.

7) Il potere nel negoziato: la MAAN

Uno dei concetti più importanti che emergono dal volume è la c.d. “BATNA” (Best Alternative To A Negotiated Agreement), tradotto in italiano con MAAN (Miglior Alternativa all’Accordo Negoziale). Ossia, definire in maniera puntuale e dettagliata ciò che faremo nel caso in cui il negoziato dovesse fallire e soprattutto quanto quello che eventualmente faremo è importante per noi.

Alla MAAN è direttamente collegato il “potere” nel negoziato. Infatti, maggiore è il valore di quello che faremo se il negoziato dovesse fallire e maggiore è il nostro “potere” al tavolo delle trattative. Perchè durante il negoziato, lavoreremo solo per vedere se riusciremo ad ottenere di più di quanto previsto dalla nostra “migliore alternativa”. Ovviamente, stiamo parlando di un’alternativa concreta, specifica, praticabile e non di una generica possibilità di fare altro.

Il classico esempio è quello del candidato durante un colloquio di lavoro. Per lui, un conto è presentarsi appena dopo essere stato licenziato e senza alternative ed un altro è affrontarlo con un’offerta di lavoro in tasca. La situazione cambia radicalmente perchè l’impatto che avrebbe il fallimento della trattativa cambierebbe non poco. Nel primo caso, infatti, non avrebbe alternative. Nel secondo, invece, avrebbe comunque una valida alternativa, appunto la sua MAAN. E questo finirà per dargli un potere che gli permetterà di ottenere maggiori vantaggi durante la trattativa.

8) Le tattiche sleali

Nel volume gli autori danno alcuni suggerimenti su come comportarsi nel caso in cui, durante le trattative, le controparti dovessero usare “sporchi trucchi”. Questo è sicuramente uno dei capitoli in cui il libro indossa i panni del “compendio”, con la classificazione delle più usuali tecniche sleali usate al tavolo delle trattative, insieme ai modi per affrontarle con efficacia.

  1. La prima tattica sleale è l’inganno deliberato, ossia la rappresentazione non corretta di fatti, autorità ambigua ed intenzioni dubbie.
  2. Poi abbiamo la guerra psicologica, che mira a far sentire a disagio l’interlocutore, in modo da vare emergere il desiderio di finire il negoziato il prima possibile. Rientrano in queste le situazioni stressanti, gli attacchi personali, le minacce, ecc.
  3. Altre tattiche invece mirano a strutturare la situazione in modo da ottenere, in modo forzato, il massimo possibile di concessioni dalla controparte. Rientrano in queste tattiche il rifiuto di negoziare, le richieste estreme o in crescendo, le tattiche di autopreclusione o quella tipica, detta “prendere o lasciare”.

9) Un ribaltamento del concetto di vittoria

Tra le cose più importanti del volume, ho deciso di inserire una pagina che nel libro appare come di transizione. Una pagina (la n. 192), che ha come titolo di paragrafo un semplice “Vincere”. Ho deciso di riportarlo nella mia recensione, perchè secondo me esprime perfettamente l’approccio che è sotteso a tutto il metodo del “negoziato integrativo”.

E lo riassumo attraverso le parole degli autori: “In molti casi chiedere a un negoziatore ‘chi vince?’ è tanto fuori luogo quanto chiedere chi vince in un matrimonio. Se vi ponete questa domanda riguardo il vostro matrimonio avete già perso il negoziato più importante. Quello circa il genere di gioco da giocare, circa il modo nel quale vi trattate l’uno con l’altra e con i vostri interessi comuni e diversi”.

Ecco perchè la “vittoria” non ha nulla a che fare con il negoziato, a meno di non interpretarlo come una vittoria che in realtà accomuna entrambe le parti, in modo che tutte escano con una situazione migliore di quella precedente la trattativa. Da questo, il metodo “win-win” che si basa su una visione cooperativa delle gestione della controversia. E’ una vittoria “insieme” quella che si può ottenere al tavolo delle trattative, non una vittoria “contro”.

10) La procedura su testo unico

Come anticipato nella prima parte della recensione, Roger Fisher ha fatto parte dello staff del Presidente americano Jimmy Carter durante i negoziati che hanno portato all’accordo di Camp David (1978). Questo è stato probabilmente uno degli esempi migliori di applicazione di trattative su “procedura su testo unico”. Che talvolta viene usata anche nei casi in cui la negoziazione è facilitata da un mediatore, terzo imparziale, indipendente e neutrale rispetto alle parti.

Come si realizza questa procedura? Si inizia attraverso la preparazione di una bozza che viene rivista (costruttivamente) e corretta dalle parti in modo progressivo, fino ad arrivare ad una versione definitiva, condivisa. Tanto per fare un esempio, a Camp David furono necessarie circa due settimane di lavoro e ben 23 bozze prima di arrivare alla versione definitiva. Con il presidente americano Carter ed il suo staff che hanno fatto ricorso alla c.d. “Shuttle diplomacy” (diplomazia della navetta), cioè una serie di interminabili incontri separati con la delegazione egiziana del Presidente Sadat e quella israeliana del Primo ministro Begin che hanno portato all’accordo definitivo [1].

In conclusione, dieci motivi, dieci opportunità, dieci chiavi di lettura di un libro che è diventato un cult della letteratura relativa alla gestione delle controversie. Una vera e propria “porta di ingresso” rispetto ad ogni approfondimento nel campo della negoziazione. Un libro che ha quasi quaranta anni. Quaranta anni di riflessioni, critiche ed integrazioni, ma che tuttavia conserva ancora il suo fascino (anche dopo tante letture) ed ha l’indubbio merito di aver segnato la direzione delle ricerche nel settore della gestione delle controversie, mie e di tanti altri studiosi della materia.

E dopo questo, non resta altro da dire che… buona lettura!
Link per leggere la prima parte.

R. FISHER – W. URY – B. PATTON, L’arte del negoziato, Mondadori, Milano, 1995.

_________________________

[1] Su Camp David, si veda il mio articolo Camp David (1978). Il primo accordo di pace tra Israele ed uno stato arabo, riportato in bibliografia.

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