Hai una presentazione o un pitch importante in arrivo e fai fatica a prepararti? Questo TED Talk potrebbe esserti utile: esplora gli elementi che compongono un discorso di successo, secondo il neozelandese DK, più un trucco da Jedi che ti aiuti a riformulare la situazione una volta per tutte.
In un mondo in cui tutti parlano, ma pochi riescono davvero a farsi ascoltare, DK – designer e speaker neozelandese – ci regala una lezione di public speaking brillante, diretta e facile da applicare. Il video si intitola “The public speaking lesson you never had” ed è una di quelle risorse che dovrebbero essere proposte in qualsiasi percorso formativo sulla comunicazione efficace in pubblico.
L’ho rivisto più volte, prendendo appunti e confrontando i suoi spunti con ciò di cui parlo da oltre 25 anni. Ecco i 10 punti chiave da tenere a mente.

1. I 3 pilastri del public speaking: Grazia, Credibilità e Risonanza
DK ci invita a rivedere completamente l’approccio tradizionale al parlare in pubblico. Più che concentrarci su cosa dire, dovremmo focalizzarci su come dirlo.
I tre elementi fondamentali sono:
- Grazia → È il modo in cui comunichi, la tua presenza, il linguaggio del corpo.
- Credibilità → Deriva da ciò che scegli di raccontare e dal modo in cui lo fai.
- Risonanza → Riguarda l’effetto che generi nel pubblico. Non conta solo ciò che dici, ma come li fai sentire.
A chiusura della introduzione, DK cita, parafrasandola, Maya Angelou:
“Le persone dimenticheranno cosa hai detto, ma non dimenticheranno come le hai fatte sentire.”
2. La postura conta (molto più di quanto pensi)
A proposito di grazia, DK analizza alcune posture tipiche di chi è insicuro quando parla in pubblico stando in piedi.
Ne evidenzia due:
- La “hip-hop stance”: si sposta il peso del corpo da una gamba all’altra a ogni frase. Facendo quasi un leggero salto tra una posa e l’altra.
- La “one-leg walk-in”: si cammina avanti e indietro senza controllo e senza strategia.
Entrambe trasmettono nervosismo e poca attenzione e preparazione.
La postura ideale? E’ quella che DK definisce “soft rock star”. Nei miei corsi la chiamo “grounding”: ossia, trovare una posizione confortevole, con i piedi ben piantati a terra e le gambe leggermente divaricate. Permette di avere una postura autorevole, ben eretta e, se necessario, anche pronta a muoversi. Postura semplice, solida ed efficace.
3. Le mani parlano, anche quando tu non lo fai
Molti usano sempre gli stessi gesti, senza accorgersene. Il che è un errore e può far distrarre le persone che ascoltano. Altri tremano per l’ansia, o stringono un foglio (la “scaletta”) che tradisce l’ansia ancora di più. Perché se la tua mano trema, con il foglio grande, l’effetto è amplificato.
E allora? Cosa fare?
Un presenter o una penna, evidenziatore può aiutare a scaricare la tensione senza distrazioni visive.
Quando lavoravo in azienda, avevo un collega che, durante le presentazioni, metteva la mano in tasca, prendeva un piccolo oggetto antistress e lo teneva dietro la schiena. Nessuno lo vedeva, ma gli serviva per ‘ancorarsi”. Piccole strategie, grande impatto.
Attenzione però… tenere qualcosa in mano durante la tua presentazione non è ben visto da alcuni autori/autrici ed espert* che suggeriscono invece di lasciare SEMPRE le mani libere. Io ho un’opinione più possibilista, nel senso che pur riconoscendo che, con le mani libere, hai ampio margine per una piena gestualità, soprattutto se non hai alle spalle grande esperienza sul palco o senti di avere parecchia ansia, un presenter ti potrà essere davvero utile.

4. Prepararsi non vuol dire scrivere tutto
DK lo dice chiaramente: prepararsi bene non vuol dire scrivere uno script perfetto. Non deve esserlo. Anzi, spesso ci rifugiamo in testi troppo lunghi che ci danno una falsa sensazione di sicurezza. Perchè poi finiamo per leggerli, perdendo spontaneità.
Come dico spesso: lo script, le stesse slide, sono certamente la nostra “coperta di Linus” – rassicurante, ma controproducente quando parli in pubblico. Anche perchè ti fanno perdere la cosa più preziosa: il contatto con chi ti sta ascoltando.
Meglio preparare punti chiave, provare a voce alta più volte, allenarsi.
5. La credibilità si costruisce con le storie
Nel parlare di credibilità, DK sottolinea quanto, anche a causa delle diffusione e conoscenza dei TED Talks, sia diventato alto il livello di aspettativa, anche per le presentazioni aziendali. Il “modello TED” ci ha abituati a contenuti ben raccontati, concisi e coinvolgenti.
Per DK non servono grandi strutture e per costruire una narrazione efficace, ricorda le parole di Woodrow Wilson:
“Se devo parlare per 10 minuti, ho bisogno di una settimana. Per 15 minuti ho bisogno di tre giorni. Per mezz’ora, di due giorni. Se devo parlare per un’ora, sono già pronto.”
Per essere efficaci quando parli in pubblico, serve la sintesi… e questa è una competenza. Quindi, per DK, puoi iniziare da una struttura semplice:
- Dimmi cosa mi dirai.
- Dimmelo.
- Dimmi cosa mi hai detto.
Chiara, rapida e facile da applicare. Funziona davvero.

6. I punti elenco sono nemici dell’attenzione
Elencare concetti uno dopo l’altro può sembrare ordinato e ti fa sembrare di avere tutto sotto controllo, Tuttavia, spesso diventa un modo per spegnere l’attenzione.
I bullet point non aiutano il cervello a seguire una storia. Quindi…
Meglio frammentare le informazioni, inserirle in un flusso narrativo, e accompagnare il pubblico passo dopo passo.
7. Punta alla risonanza, non alla perfezione
Troppo spesso costruiamo le presentazioni come fossero copioni da recitare (lo script, di cui si parlava prima). Ma il pubblico non cerca informazioni, cerca emozioni e persone.
Quindi…
Sorridi (senza forzare), mostra vulnerabilità, condividi le tue storie. L’autenticità crea connessione.
Quando comunichi da persona a persona, tocchi corde che nessuna slide potrà mai raggiungere.
8. Le emozioni si specchiano
Inoltre, DK lo ricorda con chiarezza: le emozioni sono contagiose. Se tu sei teso, il pubblico lo percepirà. Se ti emozioni, anche loro si emozioneranno. Non puoi fingere, ma puoi provare e condividere un’emozione autentica.
Ecco perché è importante essere consapevoli del proprio stato emotivo, lavorarci, prepararlo quanto (se non più) dei contenuti.

9. Il trucco mentale da Jedi
C’è infine un ultimo suggerimento, piccolo ma potente. DK propone un esercizio mentale di visualizzazione per i momenti prima di parlare. Che può essere molto utile per gestire l’ansia che di solito diventa più grande poco prima di iniziare a parlare:
Chiudi gli occhi e immagina un punto al centro della tua mente che si espande fino a riempire lo spazio, poi torna al centro. Ripeti aprendo gli occhi.
Questo esercizio, unito a una respirazione lenta e profonda, aiuta a calmarsi, a ritrovare il centro, a focalizzare la propria presenza. Fondamentale quando sei di fronte a un pubblico.
Semplice. Efficace. Jedi.
10. Il public speaking non è performance, è relazione
Chiudo con lo spunto che forse è il più importante. Che propongo volentieri anche perchè nel corso degli anni è diventato un mio ‘mantra’. Parlare in pubblico non è ‘salire in scena’. È, piuttosto, scendere nel dialogo. È creare uno spazio comune tra te e chi ascolta, dove possono accadere cose nuove. E questa è una lezione che spesso ci dimentichiamo.
Per questo, la prossima volta che devi parlare in pubblico, non pensare di avere a che fare con l”arena’, con poche o tante persone presenti in pubblico. Pensa, invece, di dover parlare a ognuna delle persone presenti, crea un dialogo con ognuna di loro e comportati di conseguenza.
Se ti occupi di formazione, comunicazione o semplicemente ti capita di parlare in pubblico, guarda questo video. E se ti va, raccontami nei commenti quale tra questi 10 punti ti ha colpito (o applichi) di più.

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