La mia intervista a RadioAgenti.it sul public speaking – Parte 2

Il 16 ottobre 2019 sono stato ospite della trasmissione “Il Portafoglio. Riflessioni e spunti di vendita sempre in tasca. Ne è uscita fuori una bella (spero!) intervista fatta dai due conduttori, Elisa Pagin e Carlo Tollo. Questa è la seconda parte dell'intervista.

Stefano Cera

Novembre 7, 2019

Il 16 ottobre scorso sono stato ospite della trasmissione “Il Portafoglio. Riflessioni e spunti di vendita sempre in tasca. Ne è uscita fuori una bella (spero!) intervista fatta dai due conduttori, Elisa Pagin e Carlo Tollo. Il tema della puntata è stato: “Quali sono gli errori più comuni che si commettono quando si parla in pubblico?”. La scorsa settimana ho pubblicato la prima parte. Ora, invece, riporto nel mio sito anche la seconda parte dell’intervista. Buona lettura (e ascolto)!

Ti vorrei ancora stimolare a darci qualche suggerimento. (Elisa Pagin)

Ad es., io sono un agente di commercio e sento per la prima volta di questo sito (ted.com, che io suggerisco perchè è veramente utile e stimolante anche per chi non deve fare discorsi in pubblico). Quali sono le cose che devo osservare? Aiutaci, dicci qualcosa di più di Cicerone e di Quintiliano. (Carlo Tollo)

Torniamo alle cinque fasi di cui parlavo prima. Due di queste riguardano la capacità di affinare la nostra gestualità. Quindi, come agenti -ma più in generale come professionisti che lavorano con altre persone- possiamo fare due cose molto importanti: la prima è lavorare su noi stessi e poi, la seconda, lavorare sugli altri.

In che modo? Lavorare su noi stessi significa innanzitutto migliorare nella nostra gestualità. E questo comporta prima di tutto lavorare sulla nostra comunicazione non verbale. Quindi, innanzitutto il contatto visivo (fondamentale), così come la capacità di usare le mani nella maniera più efficace possibile. A proposito di questo, ricordo il famoso consiglio della nonna, ossia muovere le mani il meno possibile. Questa, per la verità, è un’impostazione che ritroviamo anche nel contesto anglosassone che, sebbene sia legato soprattutto alle ricerche di diversi anni fa, è ancora rimasta.

Secondo me, invece, le mani, se usate nella maniera corretta, possono essere davvero molto utili per dare efficacia e enfasi al nostro discorso. Certo, se con le mani inizio a fare movimenti “stile-vigile urbano”, fuori controllo, con ogni probabilità le persone saranno distratte dal seguire i miei movimenti. Tuttavia, se usate con metodo e accortezza, possono essere davvero molto utili.

Tra l’altro all’estero hanno anche l’idea che noi italiani siamo più propensi verso la gestualità… (Carlo Tollo)

Noi in effetti, rispetto ad altri popoli, abbiamo una maggiore attitudine a usare le mani, come d’altra parte in generale tutti i popoli latini. Ad es., ricordo che, quando lavoravo in azienda, facevo parte di un gruppo di lavoro a livello europeo e ricordo il coordinatore del gruppo (che era un belga decisamente “atipico”, poiché molto più vicino alla gestualità latina) che mi diceva sempre che secondo lui ero un po’ troppo italiano. Al che, io rispondevo che io non ero troppo “italiano”, semplicemente ero “romano” che è una cosa un po’ diversa.

Ora, tornando alla domanda, se proprio dovessi dare un suggerimento solo su come migliorare la propria comunicazione in pubblico, io suggerirei di migliorare la comunicazione non verbale e soprattutto la capacità di usare le mani nella maniera più efficace per dare enfasi al nostro discorso.

Come dicevo prima, altra cosa importante riguarda il contatto visivo, sia quando parliamo “uno a uno” sia quando parliamo di fronte a tante persone. Questo perchè, usando una parola che tendenzialmente non mi piace ma che rende bene l’idea, riusciamo in questo modo ad avere il “controllo” della situazione.

Questi aspetti riguardano la comunicazione non verbale. Poi, ovviamente, c’è anche la comunicazione para-verbale che è la modalità con cui io articolo le parole. E questa è molto importante, come confermato anche dagli studi di Albert Mehrabian che dimostrano che le parole che dico contano sempre meno del modo con cui le pronuncio. Il “come”, nella comunicazione, è più importante del “cosa”. Ad es., uno dei sei registri che caratterizza la comunicazione para-verbale è la prosodia, cioè la musicalità (per capire cosa sia basta vedere e ascoltare su YouTube un discorso dell’ex-presidente USA Barack Obama per  cogliere la grandissima musicalità della sua voce).

Sto notando che oggi stiamo parlando di come parlare in pubblico in modo efficace non tanto dal punto di vista del contenuto, quanto dal punto di vista di ciò che non è verbale e che quindi non riguarda il contenuto. Il che significa che sarebbe più importante come ci esprimiamo rispetto a quello che stiamo dicendo… (Elisa Pagin)

Come veicoliamo le parole più che il contenuto stesso… (Carlo Tollo)

Sicuramente questo è un punto importante, tuttavia non dimentichiamo che due delle cinque fasi dell’oratoria di Cicerone riguardano la c.d. “Inventio” e la cd. “Dispositio”. La prima è la disposizione dei contenuti, la seconda, invece, è la sequenza delle cose che dico, la struttura del discorso, la “scaletta” potremmo dire.

E’ chiaro comunque che nel momento in cui noi definiamo dei contenuti, in base al tempo che abbiamo a disposizione (ad es. se ho pochi minuti a disposizione è cosa ben diversa che avere un’ora; e nel primo caso dovrò lavorare molto sulle priorità da assegnare alle cose che voglio dire), ma poi non sono efficace nel presentarli durante la presentazione, questi contenuti valgono un po’ meno. O meglio, non valgono in quanto tali, ma è stata la mia presentazione inefficace che non li ha valorizzati.

Quindi abbiamo l’Inventio e la Dispositio… (Elisa Pagin)

Poi c’è la “elocutio” che è la parte dell’affinamento stilistico del discorso. A seguire c’è la “memoria”, cioè le tecniche che permettono di lavorare con efficacia sia per memorizzare noi i contenuti sia per facilitare la memoria di chi ci ascolta. Per quanto riguarda il primo aspetto, io lavoro molto sul c.d. “Visual thinking”, cioè il “pensare in modo visuale” che permette di lavorare sulla memoria visiva. Un po’ come accadeva quando studiavamo e magari ricordavamo una specifica informazione che era contenuta in una pagina specifica del libro.

Quindi, per sfruttare questo elemento, il consiglio che darei ai nostri ascoltatori e semplice. Ossia, quando progettiamo un qualsiasi contenuto, è sufficiente mettersi su uno spazio grande (ad es. una scrivania, un piano di lavoro, un foglio di lavagna mobile, un muro, ecc.) e iniziamo a scrivere i contenuti su dei post-it. Se poi li usiamo anche di colore diverso, possiamo scrivere i vari contenuti e poi magari metterli in sequenza. Facciamo così le due fasi di “inventio” e “dispositio” e lo facciamo in modo molto semplice, fluido.

Come dicevo prima, ci sono poi le tecniche per facilitare la memoria di chi ci ascolta. In tale senso, ricordiamo sempre che gli strumenti (gli audiovisivi, le slide, ecc.) aiutano sempre a memorizzare più facilmente i contenuti che le persone ascoltano. Ad es. per i nostri ascoltatori, può essere utile portare nelle proprie presentazioni alla clientela dei depliant. Infatti, l’idea di tenere in mano qualcosa è più utile che non semplicemente vedere un sito. Ci resta maggiormente in memoria.

Perchè è più tangibile, sta lì nella mano? (Carlo Tollo)

C’è un film che suggerisco ai nostri ascoltatori di vedere, Joy (che parla della donna che ha inventato il mocio), sia perchè è un bel film sia perché contiene anche delle scene sul public speaking. Bene, in questo film c’è una scena molto efficace, a proposito di vendita in televisione, in cui il personaggio interpretato da Bradley Cooper mostra al personaggio interpretato invece da Jennifer Lawrence (l’inventrice del mocio) il lavoro di due venditrici televisive e le fa vedere come usano le mani durante una dimostrazione finalizzata alla vendita. In particolare, in una vendita le mani (e non il viso) sarebbero decisive perchè prendiamo con esse le cose a cui teniamo di più. E’ qualcosa che fa emergere una maggiore “esperienzialità”.

Per chiudere, quale è un tempo buono nel quale esercitarsi? E diamo un piccolo compito ai nostri ascoltatori… (Elisa Pagin)

Per chiudere direi che possiamo lasciare ai nostri ascoltatori l’idea di un struttura molto semplice che si adatta bene in molte situazioni e che si sviluppa soprattutto lungo tre fasi: 1) Un’introduzione, in cui diciamo quello che andremo a dire attraverso la presentazione; 2) Il corpo centrale, in cui diciamo le cose che abbiamo scelto di dire e le articoliamo secondo la struttura e la sequenza che abbiamo scelto. Cercando anche di rispettare una regola che Steve Jobs ha usato spesso nelle sue presentazioni: “la regola dei tre”. Cioè cerchiamo di dare sempre tre argomenti per qualsiasi tipo di argomentazione. Infatti, una è troppo poco, ha poca presa su chi ascolta; due lascia un senso di sospeso, di esigenza di completamento; tre, invece, permette di chiudere il cerchio in modo esaustivo. 3) La conclusione, in cui diciamo, sinteticamente, quello che abbiamo detto.
Se seguiamo questa semplice struttura, siamo assolutamente pronti a fare una presentazione su un qualsiasi tipo di argomento.

Link per ascoltare la prima parte dell’intervista.

Link per ascoltare il podcast della trasmissione.

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