In genere con l‘eta si diventa più saggi. Questo vale per tutti, ma non per Pete Mitchell/Maverick (Tom Cruise) che ritroviamo con 36 anni in più, carriera militare ridotta ai minimi termini per non essere mai sceso a compromessi e sempre spavaldo e spericolato nelle sue scelte, sia quando solca i cieli alla guida di aerei da caccia sia quando si tratta invece di scelta per la propria vita.
UN NUOVO RUOLO PER TOP GUN
C’è tuttavia qualcosa che gli viene imposto dai suoi superiori e che lo farà inevitabilmente (e finalmente?) crescere: il ruolo di istruttore. Di un gruppo di super-piloti che devono affrontare una ”mission impossible” (tanto per rimanere in tema rispetto ai film con Tom Cruise) in territorio nemico. Ed e’ questo che inizia il mio vero interesse per il film (oltre che per la presenza di Jennifer Connelly).
UN PASSAGGIO DEL FILM UTILE PER I FORMATORI
struttore. Ruolo che Maverick non sente nelle sue corde. E c’è un passaggio in un dialogo che, penso, riguardi tutti quelli che fanno formazione e facilitano l’apprendimento degli altri. “Non è quello che faccio, e’ quello che sono… come lo insegno?”. Questa e’ la domanda che si pone Maverick e che pone all’Ammiraglio in un momento di sfogo e di riflessione profonda. Non si sente tagliato per il ruolo, non pensa di poter diventare un bravo insegnante, non sa cosa dare ai suoi giovani colleghi e, soprattutto, come fare per trasmettere il suo modo di essere.
E questa è anche un po’ la domanda che si pone (o a mio avviso si dovrebbe porre) ogni persona che si occupa di formazione. Come riuscire a trasmettere quello che siamo? Perchè, in aula (reale o virtuale che sia) non è quello che si fa, ma soprattutto quello che si è a fare la differenza. Altrimenti, resta soltanto un “lavoro”.
UNA DOMANDA IMPORTANTE
Dunque, ed e’ questo che il messaggio che mi suggerisce la frase detta da Maverick, come fare a trasmettere ciò che abbiamo dentro e che costruiamo giorno dopo giorno? Attraverso le esperienze, ma anche gli studi, gli approfondimenti e le ricerche? Soprattutto, per non creare modelli o standard rispetto a nessuno, ma per dare supporto ai talenti che le persone hanno, non forzando ma seguendo lo sviluppo delle specifiche individualità.
Serve tempo, pazienza, disponibilità a metterci in gioco e, soprattutto, accettare che gli altri abbiano un impatto tra noi (e ci cambieranno) mentre noi cerchiamo di seguire e dare supporto alla loro crescita.
Perché, come mi ha suggerito tanti anni un mio collega che considero tra i miei mentori, noi abbiamo da imparare dalle persone che incontriamo in aula molto di più di quanto loro possono imparare da noi. Ed e’ questa la forza della nostra “missione”.
CONCLUSIONE
Ora, tornando al film, non intendo fare spoiler; mi limito a dire che, quando si lavora con le persone, le opportunità sono sempre dietro l’angolo. E questo, nonostante la testardaggine e il coraggio da vendere del protagonista, e’ proprio quello che accadrà a Maverick.
In conclusione, un film da vedere, perché tanti anni non sono passati invano, perché -una volta tanto, il sequel si dimostra all’altezza del primo grande successo e perché vale la pena non solo focalizzare l’attenzione sulle imprese aeree di Maverick e dei suoi ragazzi, ma, da formatori, anche riflettere -mentre lo vediamo “in azione” in aula- su ciò che siamo diventati noi, nel nostro sviluppo personale e professionale. Guardandoci indietro viene anche più facile.
Perché per fare grandi cose, non serve necessariamente pilotare un aereo, ma dedicare il nostro tempo al sincero interesse verso la crescita delle persone che incontriamo nel nostro percorso. E il resto, avendo anche un po’ di sano coraggio nel lasciarsi andare, verrà da se’…
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